mercoledì 19 dicembre 2012

Tre punti per ripartire...3 di 3


UNA NUOVA FASE COSTITUENTE

Il governo Monti nasce nel quadro dell’incisiva e appassionata iniziativa del Capo dello Stato e a molti tra noi  è stato dato di pensare che la nostra Costituzione dovrebbe prevedere che un Capo dello Stato eletto dal popolo, avesse quei poteri e potesse normalmente guidare l’azione del suo governo, come accade nei paesi a carattere presidenziale o semipresidenziale.

Purtroppo nel nostro paese operano forze politiche e poteri forti irrimediabilmente conservatori che amano le costituzioni materiali e non vogliono che certi principi siano iscritti nel testo costituzionale, perché perderebbero il loro  potere di condizionamento e di sollecitazione.

E’ al nostro partito ed al presidente Berlusconi in primis, ma anche ad  altre forze politiche  che va riconosciuto l’alto senso di responsabilità che ha consentito, in una situazione di grande emergenza,  il prevalere degli atteggiamenti costruttivi sullo spirito di faida.
Ma questa contingenza straordinaria va superata ridando forza alla politica e promuovendo il rinnovamento e il rafforzamento delle nostre istituzioni.  

Ora dunque è necessario promuovere l’incisiva riforma della  nostra Costituzione che NON è la più bella Costituzione del mondo, come va dicendo Bersani:
-- perché rende difficile ed improbabile l’attività di governo, non da poteri e forza decisionale al Presidente del Consiglio dei Ministri, limita troppo il potere di decretazione del Consiglio dei Ministri;
-- perché fa della magistratura un corpo separato dello stato, senza ordine né gerarchia, ma troppo spesso impegnato a contrastare il potere legiferante del parlamento;
-- Perché l’attuale architettura dello stato  è inflazionata  e produce una dispersione conflittuale dei poteri e delle competenze:

Occorre prescrivere  la fusione dei comuni con meno di diecimila abitanti, promuovere l’unione dei comuni in ambiti territoriali opportuni, eliminare le Provincie, ridurre il numero delle Regioni, limitare i poteri dello Stato alla politica europea, estera, di difesa, di sicurezza, di giustizia, di governo sulle questioni e le reti di rilievo nazionale.

In questo quadro, una riflessione va fatta sulla questione dell’area metropolitana, precisando che Venezia con la sua provincia non è un’area metropolitana, tantomeno se essa ha, come ha, solo i poteri di una provincia. Va colta invece questa opportunità per mettere in rete e portare a sistema il policentrismo veneto, per dare gerarchie alla sua organizzazione territoriale, produttiva e direzionale, per creare nuove sinergie tra le Città Venete, per dare massa critica alle strutture imprenditoriali e direzionali della nostra Regione nel contesto europeo.
 
Ciò può implicare, ma non necessariamente, uno specifico livello istituzionale, più fecondo potrebbe forse essere l’individuazione di sedi di concertazione e decisione delle politiche di area metropolitana.

A questa profonda trasformazione del territorio  regionale  può e deve essere chiamata anche la Regione del Veneto, partecipando essa con capacità decisoria alle sedi di concertazione delle politiche metropolitane.

In sintesi occorre allora:

1) Riduzione della spesa pubblica comprimendo quella corrente e rilanciando le politiche di investimento;
2) Riorganizzazione in senso federalista della struttura istituzionale dello Stato per promuovere l’interazione dei territori, dei mercati, delle strutture produttive, imprenditoriali, direzionali e quella dei grandi servizi dell’Università, della Ricerca, della Salute;
3) Riduzione delle imposte e delle tasse stabilendo con un programma pluriennale di dimezzarle, passando dall’attuale insostenibile e parossistico 68% ad un giusto e fisiologico 34%.

Nasce da queste tre azioni di riduzione e riorganizzazione, lo spazio economico e finanziario necessario a rilanciare la crescita:

a)   potenziando il nostro sistema d’impresa, con finanziamenti volti al suo adeguamento tecnologico, e all’assistenza  delle sue  attività di export.
b)        creando un nuovo mercato dei servizi  a rete del territorio,    (ciclo dell’acqua, ciclo dei rifiuti, trasporti), stabilendo chiare condizioni che ne garantiscano gli investimenti manutentivi e tecnologici e il minor costo per l’utenza.
c)      investendo nella realizzazione di tutti i sistemi infrastrutturali (porti, logistica, corridoio 5, alta velocità) di integrazione degli spazi nazionali ed internazionali.
d)   realizzando un vasto programma di Green Economy, con la  produzione di energia da fonti rinnovabili e metodi  di intervento sulle città per renderle più efficienti (smart cities).
e)     programmando organici interventi a tutela del territorio e dell’ambiente e del suo riequilibrio idrogeologico.

Ognuna di queste politiche, ha nel Veneto e nel Nord Est un luogo e un protagonista di primaria importanza. Tocca ora al nostro partito, se ne ha la forza e il coraggio, assumere su di sé questo compito del Veneto per i Veneti, rivendicandone oggi il ruolo, già proprio nella storia, di cardine tra mitteleuropa e medio oriente, diventando strumento del libero e forte e laborioso  popolo veneto per la conquista di questo  suo rinnovato avvenire.             
  

Jacopo Carraro

domenica 16 dicembre 2012

Tre punti per ripartire...2 di 3


L’AGENDA  MONTI

Personalmente mi è parsa una ricetta con troppe  tasse e pochi  tagli. Di spending review si è parlato e basta. Solo una serie ed approfondita revisione della spesa pubblica può far trovare lo spazio per ridurre il cuneo fiscale, per diminuire le tasse e metterci di nuovo in grado di fare ancora  economie, cioè quello che meglio hanno sempre saputo fare i nostri imprenditori.

L’evasione fiscale è pesante ed è un reato che va perseguito con forza e con metodo non certo con azioni solo dimostrative. Ma non può diventare la scusa per cui non si possono ridurre le tasse.  Quando la pressione fiscale reale è pari al 68%,  allora diventa impossibile restare competitivi sia di fronte alle imprese mafiose e paramafiose che in Italia non pagano né tasse né contributi, sia di fronte alle altre imprese europee che godono di un sistema fiscale più equilibrato.

 Del resto l’Italia, nonostante tutto quello che dice la stampa e certa parte della politica, rimane la 3° economia d’Europa per PIL e dato che l’alta tassazione è connessa proprio al PIL ne risulta che allo Stato Italiano i soldi non mancano, il problema, semmai, è dove finiscono, quali sono i mille rivoli lungo cui si  disperde il tesoro delle nostre tasse.

Il problema della riduzione della spesa pubblica è centrale, ma va isolato dalla spesa sociale, perché non è certo l’abbondanza di asili nido, di scuole, di palestre che ha rovinato i nostri conti pubblici:
stiamo cercando di riempire d’acqua uno scolapasta! Non ha senso farlo senza prima tappare i buchi.

Ora bisogna snellire lo Stato, e i suoi diversi livelli istituzionali; occorre che i servizi pubblici, o meglio in mano pubblica, tornino a far parte del mercato, siano acquisibili e vendibili.
Bisogna che diventino la molla con la quale si può far espandere l’economia del paese. Ma per questo occorre diminuire drasticamente le tasse, quelle proprie e quelle improprie che stanno strangolando il paese, tanto che per molte imprese oggi, l’evasione non è più soltanto un reato, è diventato anche l’unico mezzo per sopravvivere.

Ciò vale soprattutto per quelle aziende piccole e medie che rappresentano la spina dorsale del nostro sistema economico e che danno lavoro ad oltre il 58% dei lavoratori; quella piccola e media impresa i cui ideali e bisogni, le cui istanze per primi, noi di Forza Italia, avevamo fatto nostri e che con il PdL non sembriamo più in grado di difendere.

Meno tasse, meno stato, più impresa: si potrebbe definire un ritorno allo spirito del ’94, oppure rinnovata coerenza con le nostre idee, con quelle idee che, ai Veneti e all’Italia intera, avevano dato speranza, convinzione e voglia di impegnarsi.

Jacopo Carraro

martedì 11 dicembre 2012

Tre punti per ripartire...1 di 3

Cari amici,
metto a vostra disposizione e dei vostri commenti una serie di riflessioni che spero possano dare origine a discussioni utili e approfondite sul nostro "fare politica".

Pubbblicherò tre post per affrontare alcuni temi:

1) organizzazione del partito
2) politica economica
3) i prossimi impegni della nostra politica nazionale.

Commentate numerosi... 


1) PARTITO E  FEDERALISMO.

Si fa un gran parlare di primarie, di limite ai mandati, di resettare i vertici del partito, di stringere un più profondo rapporto con i nostri elettori.
Sono argomenti differenti, ma passano tutti attraverso le Primarie: per decidere cosa fare e chi lo deve fare.

C’è una questione che in modo nuovo può legare il cosa al chi: il federalismo che non interessa solo alla Lega, riguarda invece tutta intera la nostra economia, la nostra vita e anche quel che resta del nostro amor patrio.

 A maggior ragione deve riguardare noi, le nostre imprese, la nostra gente, il nostro modo di governare, restituendo alla gente la libertà di intraprendere, di lavorare, di decidere cosa fare; liberandola da una burocrazia costosa, onnivora ed inutile, da un sistema dei vincoli che strangola il paese:

Tra il momento della decisione imprenditoriale e la autorizzazione burocratica passa sempre troppo tempo e questo diventa allora il paese della rinuncia a fare, del lavoro negato, delle opportunità perdute.

Si disperde così il gusto dell’intraprendere, dell’andare avanti, del crescere, si diffonde così nella nostra società l’astio per il nuovo e  l’ostacolo al cambiamento, prevale in essa il conflitto tra la gente e, tra le istituzioni , il venir meno del doveroso atteggiamento cooperativo.

Poiché questa è una spirale che si sta avvitando su se stessa, possiamo stupirci se il P.I.L. non cresce? Se il lavoro diminuisce? se la disoccupazione aumenta?
      
Il federalismo purtroppo è stato spesso inteso come secessione e per questo è rimasto inattuato ed   è stato temuto. Ultimamente il governo di “Salute Nazionale”, come veniva trionfalmente chiamato da più parti il Governo Monti, gli ha inferto gravi colpi avocando alle istituzioni centrali le poche bandiere del decentramento.
In realtà gli stati federali sono ancora oggi quelli che più e meglio degli altri stanno reagendo alla crisi, dimostrando allo stesso tempo una forte coscienza nazionale: gli Usa, la Germania, la Svizzera ma anche il Brasile e l’India sono tutti stati federali che, proprio nel reciproco rispetto delle singole identità che li compongono, riescono ad esprimere una politica coerente a livello nazionale.

La stessa Europa  può darsi una struttura federale: lo ripeto oggi che più forte e profondo è il nostro disagio per un’Unione Europea  che non è pari a quella che avevamo pensato, la cui solidarietà resta da provare, il cui assetto democratico risulta squilibrato dall’auto-costituitosi direttorio franco tedesco.
Nessuno di noi ha mai pensato che entrare in Europa potesse essere una passeggiata trionfale. Ci è chiaro che il rigore è necessario per tutti, che stare in Europa è una sfida ed implica una competizione leale con gli altri paesi. Essa presuppone una capacità, una competenza, un lavoro assiduo da parte dei nostri rappresentanti in Europa e una loro profonda conoscenza dei nostri interessi che vanno difesi con instancabile impegno.

Non siamo sicuri che ciò sia stato fatto.
Siamo sicuri invece che non esistono vie di fuga, né dall’Europa , né dall’Euro.
Siamo sicuri che questa è la battaglia da fare :
--per conquistare un ruolo in Europa che sia degno dell’Italia,
--per garantire questo rapporto Italia – Europa che per ragioni di geografia, economia, storia e  futuro,  per il Veneto è irrinunciabile.   

Ma un federalismo vero può passare soltanto attraverso la diretta responsabilità delle Regioni e dei comuni sia nel prelievo fiscale che nella spesa. E’ da qui, dalla responsabilità di fronte agli elettori, che nasce un governo virtuoso.

L’infame esempio della Regione Lazio (non la sola), che ha trovato la  complicità di tutti i Gruppi consiliari, nasce invece dalla irresponsabilità implicita nel sistema dei “trasferimenti dallo stato alle regioni e ai comuni”e da una classe dirigente che non ha passato il duplice vaglio del partito e degli elettori.

A questo servono le primarie, per questo ci vuole un partito dotato di regole e di strutture democratiche.
  
Oggigiorno al Veneto torna solo il 25% delle tasse e delle imposte pagate dai Veneti, mentre il 75% resta a Roma: questo non è più sopportabile e se nel medio periodo l’obiettivo è quello  di invertire queste percentuali, nel breve periodo occorre assumere come obiettivo un forte  riequilibrio tra Stato, Regioni e Comuni.

Il federalismo deve portare con sè, implicitamente, anche altri elementi necessari:

1.      Il MERITO nella promozione e nello sviluppo dell’economia locale, della sua università,  dei suoi ospedali , della sua ricerca scientifica.
2.      La SOLIDARIETA’ nell’aiutare la gente che vive e lavora nel Veneto e nel sostenere con parte del proprio gettito fiscale e in un’ottica di coesione nazionale le politiche di investimento degli altri territori, ma non la loro spesa corrente.
3.      La RESPONSABILITA’ nel rendere conto, in primis, ai propri concittadini delle quantità e degli scopi  del prelievo fiscale, sottoponendo poi  le grandi opere a referendum, ascoltando le mille voci della rete e spronandola a fornire giudizi sempre più  precisi e ben ponderati.
4.   Lo stesso nostro partito dovrebbe essere impostato su base federalista e legato al territorio per tutelarne i valori fondanti, per tramandare alle nuove generazioni, le aspirazioni e i bisogni del Libero Popolo  Veneto.

 Affrontare le sfide del futuro con la forza delle nostre tradizioni, impegnarci a  rafforzare il ruolo e il posto del Veneto in Italia e in Europa: ecco il compito nostro.

Nel paesaggio delle nostre pianure, colline ed alte montagne, come nei fiumi, nelle lagune operose o nei mari aperti al mondo, nelle città industriose, nei Centri Storici preziosi, nella gente che lavora, studia, inventa,  intraprende, opera silenzioso e continuo il Genius Loci della nostra terra, lo spirito che anima in modo inconfondibile i nostri paesaggi , che si riflette nelle faccie e  nelle mani, nella volontà e nelle parole della nostra gente.

Quale miglior battaglia per noi che difendere questo patrimonio, quale peggior colpa che non riuscire a consegnarlo alle generazioni nuove?

Sono ben conscio che un partito deve difendere gli interessi concreti della gente che intende rappresentare e questo noi intendiamo fare , ma un grande partito nasce solo se è anche un atto d’amore per ciò di cui siamo parte, per ciò in cui crediamo.
Un partito per essere grande deve darsi un ordinamento democratico, ma non burocratizzato, attraverso cui unirsi alla sua gente, fare le grandi scelte chieste dal territorio, scegliere i propri  candidati e i propri dirigenti, superando l’ignavia e la stasi che ha portato ai doppi coordinatori talvolta irresponsabili di fronte al partito, talvolta nemici del partito perché protetti dai loro mandanti.
  
E allora in quest’ottica anche le primarie acquisiscono un senso, a patto che non ci si dimentichi dei tesserati, cioè di coloro che si impegnano comunque in prima persona e che  con il loro impegno costante, politico ed economico (perché le sedi costano, così come i volantini e le sale per organizzare gli incontri), si assumono le maggiori responsabilità.

Vogliamo dimenticarci di questi? Vogliamo dimenticare che un partito si basa sulle idee e sulla passioni di chi si impegna in prima persona, non solo quando è comodo, ma anche nei momenti di crisi? Poi bisogna non arroccarsi e non escludere.  Poi occorre aprirsi, sperando semmai di fare nuovi iscritti, di trovare altra gente disposta a lavorare con noi.

Jacopo Carraro